Le Porte di Roma by Conn Iggulden

Le Porte di Roma by Conn Iggulden

autore:Conn Iggulden [Iggulden, Conn]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T07:37:27+00:00


* * *

Le scuderie, la locanda, le persone stesse incuriosivano Marco. Una ragazza graziosa, che camminava accompagnata dalle sue guardie, parlava loro in una lingua morbida che quelle sembravano capire. Accanto alle scuderie si ergeva un tempio di marmo bianco simile a quelli romani, ma i volti delle statue incisi nella pietra gli erano sconosciuti. Molti uomini portavano barbe profumate con oli dolci, ma la cosa più strana che vide fu sulle mura di un tempio dove si pregava per la guarigione dei malati.

Membra di pietra o stucco, a grandezza naturale o più piccole, pendevano da alcuni ganci. Una gamba infantile, piegata al ginocchio, penzolava insieme al modello di una mano femminile e lì vicino c’era un soldato in miniatura scolpito nel marmo rossastro.

«Cos’è quella roba?» aveva chiesto Marco a Renio.

«È un’usanza del posto» era stata la risposta. «Se la dea ti guarisce, le offri la riproduzione dell’arto risanato. Incoraggia la gente a venire al tempio, direi. I sacerdoti non guariscono nessuno senza che un po’ d’oro passi di mano e quei modellini hanno la funzione di un’insegna di bottega. Questa non è Roma, ragazzo.

Quando si arriva al dunque, non sono come noi.»

«Non ti piacciono?»

«Vivono troppo immersi nelle glorie del passato. Sono un popolo orgoglioso, Marco, ma non a sufficienza per scrollarsi il nostro piede dal collo. Amano pensare a noi come a dei barbari e gli aristocratici fingeranno che tu non esista, ma a cosa servono centinaia di anni di arte quando non puoi difenderti? La prima cosa che un uomo deve imparare è essere forte. Senza la forza, qualunque cosa tu possieda può esserti portata via. Non dimenticarlo.»

Le scuderie, quanto meno, erano uguali dappertutto. Il loro odore suscitò in Marco una fitta di nostalgia: si chiese come se la passasse Tubruk alla proprietà, e se Caio avesse imparato a schivare i pericoli della capitale.

Renio stava accarezzando il fianco di uno stallone dall’aria robusta. Gli passò le mani sulle zampe e controllò con attenzione i denti. Peppide lo imitava, accarezzando zampe e saggiando tendini con aria solenne.

«Quanto per questo?» chiese Renio al proprietario, che stava lì vicino in compagnia di due guardie del corpo. Non puzzava minimamente di scuderia ed era pulito e curato, con barba e capelli lucidi.

«Robusto, non è vero?» osservò il proprietario nel suo latino dall’accento forte ma chiaro. «Suo padre ha vinto delle gare nel Ponto, ma è un po’ troppo pesante per la velocità. É più adatto alla battaglia.»

«Voglio soltanto che mi porti a nord, oltre le montagne» replicò Renio. «Quanto chiedi?»

«Si chiama Apollo. L’ho comprato da un uomo che aveva perso la sua ricchezza ed era costretto a vendere tutto. L’ho pagato una piccola fortuna, ma conosco i cavalli e so che la vale.»

«Mi piace» si intromise Peppide.

I due uomini lo ignorarono. «Ti darò cinque aurei e lo venderò alla fine del viaggio.» Il tono di Renio non ammetteva repliche.

«Ne vale venti e ho pagato la sua biada per tutto l’inverno.»

«Ma con venti aurei si può comprare una piccola casa!»

Il mercante si strinse nelle spalle.



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